Banche a rischio da Berlino a Lisbona: ecco la mappa

Quando si parla di crisi bancaria si pensa subito alla situazione italiana, che nell’ultimo periodo è stata al centro dell’attenzione per numerose vicende di banche in crisi. Ma questa volta non è così, con il nostro articolo scopriamo in dettaglio l’ultima novità del mondo bancario europeo.

«Il Paese è tornato in affanno per una nuova crisi bancaria sistemica e per l’eccessivo debito». Si sbaglia di grosso chi pensasse che queste parole, scritte nella prima pagina di uno studio pubblicato ieri da Barclays, si riferiscano all’Italia: il Paese in questione è infatti il Portogallo. È Lisbona che si trova ad affrontare «una crisi bancaria sistemica». Lo studio di Barclays, fresco di stampa, testimonia che non sono solo gli istituti italiani a soffrire in queste settimane post-Brexit.
Non c’è solo il Montepaschi: la crisi bancaria è europea, declinata con vari stadi di gravità e con varie sfaccettature da Paese a Paese. Ed europea deve essere la risposta. Perché dalle banche passa la linfa all’economia reale di tutto il Continente: banche vulnerabili (più o meno in tanti Paesi) non hanno la forza di sostenere la ripresa delle imprese, degli investimenti, dell’economia.

Tutte le banche europee soffrono infatti per la bassa redditività e per i costi ancora troppo elevati. Questo problema va poi a sommarsi ai nodi specifici di ogni singolo Stato: in Italia e Portogallo sono i crediti in sofferenza a pesare sui bilanci, in Germania e alcuni Paesi nordici sono i derivati delle grandi banche a spaventare i mercati, in Gran Bretagna è la crisi immobiliare a mettere in allarme gli analisti. Per non parlare dei problemi enormi delle banche regionali tedesche, finite sotto la lente del Fondo monetario. Se è sbagliato sminuire la gravità della situazione italiana, come la politica ha fatto per troppi anni, è anche errato non prendere atto che la crisi delle banche riguarda molti Paesi europei. Bastano 6 parametri (si veda grafico a fianco) per capire che le vulnerabilità sono tante. A macchia di leopardo.
Il primo motivo di sofferenza (per tutti i Paesi) nasce dalla politica dei tassi a zero varata dalla Bce: annullare il costo del denaro significa ridurre i ricavi per chi lavora intermediando proprio il denaro. Cioè le banche. Per i primi 20 big europei, secondo i dati di Capital IQ, i ricavi derivanti dall’erogazione del credito si sono ridotti dai 709 miliardi del 2007 ai 433 del 2015: in pochi anni, insomma, le banche hanno perso 276 miliardi. Polverizzati dalla Bce.

Anche in Italia l’effetto si fa sentire, ovviamente. Ma nel complesso gli istituti tricolori si dimostrano maggiormente capaci di generare ricavi in altro modo: grazie alle commissioni. Secondo uno studio di At Kearney, le banche domestiche generano quindi in media 962 euro di ricavi per ogni singolo cliente: uno dei livelli più alti di tutta Europa. Merito della forte propensione degli italiani al risparmio gestito, che genera business per le banche. «Non si tratta di un posizionamento errato – spiegano Ettore Pastore e Roberto Freddi, rispettivamente Partner e Principal del Financial institutions di At Kearney – al contrario, tiene conto dei maggiori vincoli di capitale e del costo del rischio di credito che hanno caratterizzato gli andamenti delle banche italiane negli anni scorsi».

La bassa redditività è ovviamente più dolorosa per le banche che hanno una struttura dei costi ancora troppo elevata: troppe filiali, troppi uffici e così via. L’Italia anche su questo ha le sue innegabili pecche, come dimostra una presenza di filiali superiore al numero di pizzerie. Ma anche quello dei costi è un problema che in Italia morde meno che all’estero. Sempre secondo At Kearney, le banche della Penisola hanno infatti un rapporto tra costi e ricavi al 56%, inferiore alla media europea. Molta più strada da fare hanno invece le banche tedesche, dove il rapporto è al 69%. O quelle austriache (71%).

Fonte: http://www.ilsole24ore.com/art/finanza-e-mercati/2016-07-11/da-berlino-lisbona-rischio-banche-europeo-231623.shtml